Il progetto "Antiche genti di Pisa, le necropoli di porta a Lucca" è diretto dal professor Fornaciari

Dalla neurologia clinica agli scavi in laboratorio su resti umani: la TAC impiegata come non si era ancora mai visto. Lo hanno fatto i ricercatori della divisione di Paleopatologia della facoltà di Medicina che per analizzare il contenuto delle urne cinerarie rinvenute in un’antica necropoli, hanno studiato un metodo innovativo e unico al mondo: sottoporle a tomografia assiale computerizzata (TAC) così da indirizzare con maggiore precisione gli scavi effettuati in laboratorio.

Il rivoluzionario metodo si inserisce all’interno del progetto “Antiche genti di Pisa, le necropoli di porta a Lucca” diretto dal prof. Gino Fornaciari in collaborazione con la dottoressa Emanuela Paribeni della Soprintendenza archeologica, e finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pisa, la cui nascita ha una storia tanto semplice quanto affascinante, proprio come l’idea dalla quale è scaturita l’innovativa metodica d’analisi con TAC. “Il nostro lavoro – racconta il professor Fornaciari, già assunto agli onori delle cronache nazionali per aver studiato i corpi della famiglia dei Medici – si è inserito negli scavi di emergenza a cui fu chiamata la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana nel 2005 quando, nel corso dei lavori di edificazione di alcuni palazzi nella zona di via Marche, vennero alla luce le due necropoli appartenenti a periodi distinti: la prima, a inumazione, risalente al periodo tardo romano, tra il III e il V secolo d.C., la seconda, a incinerazione, risalente al periodo del IX- VII secolo a.C. e rinvenuta a poca distanza in profondità. Da qui è partito il nostro lavoro di collaborazione con gli archeologi della Soprintendenza”.

L’area esplorata ha portato alla luce numerose sepolture in grandi anfore o in fosse con copertura di laterizi “alla cappuccina” e 35 pozzetti contenenti urne cinerarie che, dato l’elevato numero di resti recuperati, risultano rappresentative di un campione significativo di popolazione pisana di età tardo-antica.
Le urne, estratte intere dai pozzetti e sottoposte a microscavo in laboratorio, potranno rivelarci molto del nostro passato, dalla ritualità funebre, all’ambiente circostante (attraverso lo studio dei pollini rimasti imprigionati nel terreno) fino alle patologie più diffuse dell’epoca: anemia, artrosi, osteoporosi e malattie infettive. I resti dei cremati dunque, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sono ricchi di informazioni e possono svelare molti aspetti della vita e delle abitudini dei nostri avi, ma anche fornirci elementi di paleonutrizione e di paleogenetica grazie alle analisi molecolari eseguite dalla Divisione di Paleopatologia dell’Ateneo.

Ma possibile che nessuno avesse mai pensato prima d’ora a sottoporre le urne a TAC? “Generalmente gli archeologi non hanno a disposizione competenze o strutture mediche di questo tipo – azzarda Fornaciari – mentre in questo caso la nostra Divisione si è trovata a lavorare a stretto contatto con gli archeologi della Soprintendenza e l’intuizione è arrivata quasi da sola. La strumentazione impiegata invece è della Divisione di Radiologia Diagnostica e Interventistica che ce l’ha messa a disposizione e che dobbiamo ringraziare per la preziosa collaborazione”.

“Studiare le urne ancora intatte mediante TAC – spiega ancora Fornaciari – consente di conoscere con esattezza il loro contenuto prima ancora di aprirle, in modo da condurre gli scavi con precisione e intervenire con particolare cura laddove l’esame radiologico riveli la presenza di oggetti in metallo, come bracciali e rasoi, oppure di ossa” .
L’innovativo sistema di indagine che per la prima volta al mondo viene applicato a questo particolare ambito scientifico, in qualche caso è anche in grado di fornirci l’unica testimonianza dei reperti contenuti nelle urne: “Talvolta gli oggetti sono così malridotti – precisa infatti il professore – che al momento della riesumazione si deteriorano irrimediabilmente, cosicché l’unica immagine che ci rimane di essi è proprio quella fermata dalla TAC poco prima dell’apertura dell’urna”.

Una volta effettuato lo scavo in laboratorio l’urna viene delicatamente ripulita, quindi sottoposta a velatura e passata al vaglio dei restauratori della Soprintendenza. Un lavoro certosino, di grande precisione e pazienza, effettuato da Simona Minozzi e Valentina Giuffra, due giovani collaboratrici dell’equipe di Fornaciari, a cui si affianca il lavoro di catalogazione e analisi dei resti dei cremati e degli inumati di alcune laureande.

Claudia Mantellassi