Mariella Immacolato
(Direttore della U.O. di Medicina Legale, ASL 1 di Massa Carrara
Commissione Regionale di bioetica e Consulta di bioetica)

Prima del referendum i sostenitori del SI dicevano che la difesa della legge 40 era strumentale, e che l’obiettivo ultimo restava l’attacco alla 194/78. Il blocco della sperimentazione della RU486 è un segno chiaro che va nella direzione prevista dai referendari. Infatti, l’introduzione di nuove tecniche come la RU486 è prevista dall’art. 15 della 194/78, che recita: “le regioni, d’intesa con le università e con gli enti ospedalieri, promuovono l’aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie … sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza”. Quando si dice che la sperimentazione non è conforme alla 194, si dimentica la parte appena citata, attuando così una vera e propria restrizione all’applicazione della legge: non è questo un modo di attaccare la 194/78 e la libertà delle donne?
In via preliminare va chiarito che la sperimentazione della RU486 è richiesta solamente ai fini della registrazione del farmaco nel nostro paese. Non si tratta di sapere se funzioni oppure no, né se faccia male o meno. Già sappiamo che funziona e che milioni di donne nel mondo l’hanno utilizzata e la utilizzano con successo traendone beneficio. Inoltre, il protocollo di sperimentazione è stato approvato dal Comitato etico (che ha il compito di controllarne i criteri di scientificità, di sicurezza e di eticità), ed è stato anche oggetto di parere positivo da parte del Consiglio Superiore di Sanità: non si vede proprio quali siano gli elementi di pericolosità per la salute della donna. Né vale la presunta contrarietà con l’interpretazione letterale della 194/78, laddove prescrive che l’intervento avvenga in struttura sanitaria pubblica. Questa clausola è peraltro prevista dal protocollo di Torino ed è stata applicata dai medici. Ma la nuova metodica presenta anche aspetti nuovi, che derivano dalla natura stessa della tecnica in questione e che vanno tenuti in considerazione.
Vediamone alcuni. Quando l’interruzione di gravidanza è attuata con i metodi tradizionali, la permanenza nella struttura sanitaria è richiesta dalla natura stessa dell’intervento. Ma che fare ora che l’intervento sanitario non è più tanto invasivo da imporre la permanenza nella struttura e non ha effetti pericolosi né per l’interessata né per altre persone? Che fare se una paziente chiede di andare a casa? È lecito obbligare una donna a rimanere in ospedale contro la sua volontà? Dovrebbe forse il medico ricorrere al TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) per impedirne l’uscita? Perché questo è ciò che è accaduto a Torino e che ha dato origine all’ordinanza di sospensione della sperimentazione. Una paziente ha chiesto di tornare a casa, e non si vede come i medici potessero impedirglielo. In questo senso, la sospensione della sperimentazione è pretestuosa.
Né si può far intendere che la RU486 avrebbe dovuto essere registrata dalle Amministrazioni precedenti (di centro-sinistra). Infatti, anche se il ritardo al riguardo è poco giustificato, solo ora in Italia è terminata la procedura per la richiesta di registrazione del farmaco. Come è noto, numerose sono state le resistenze e opposizioni sollevate in passato (per saperne di più si consulti Bioetica. Rivista interdisciplinare, 2002 n. 4 e 2003, n. 3). Ma adesso si è arrivati al punto, e bloccare la sperimentazione è un vero e proprio attacco alla salute e alla libertà delle donne.
Un’ultima considerazione su ciò che comporta la nuova metodica. Essa è meno invasiva, meno pericolosa e anche meno onerosa. Ma non per questo renderà la scelta di interrompere la gravidanza più facile e più superficiale. Proporre quest’idea offende la dignità delle donne, che con fatica ed angoscia giungono a questa decisione. Se il progresso scientifico offre loro l’opportunità di ridurre la sofferenza fisica, esso è benvenuto.
Alcuni obiettano che il nuovo metodo in realtà è più doloroso e traumatico perché richiede più tempo, e quindi è alla fin fine “contro le donne”. Ma avendo a disposizione più strade, la decisione tocca alla donna, la cui libertà viene ampliata. Come per tutti gli interventi medici, la libertà di scelta dell’interessato è inviolabile e va rispettata. Questo è il criterio fondamentale che dovrebbe ispirare chi ora controlla la sperimentazione ed in futuro la diffusione della nuova metodica.