da “Repubblica”, Cronaca di Firenze, del 5 marzo 2008
di Piergiorgio Odifreddi
Premesso che Galileo non è un santo, anche se ci sono “scienziati” pazzerelli che l’hanno proposto per la beatificazione e la santificazione, questa storia di riesumare salme, toccare reliquie, conservare pezzi del vestito o del corpo, sono cose da lasciar fare ai credenti, o meglio ai creduloni perché appartengono ad un’altra mentalità che non è scientifica. Di Galileo si devono riesumare non le spoglie, ma le idee, i risultati delle sue scoperte e osservazioni, che non sono morti ma spesso seppelliti dietro a cortine di mediaticità, dietro al Festival di Sanremo o ai miracoli Padre Pio. Come si fa a riesumare le idee al posto dei corpi? Invece di celebrare i santi scientifici con messe o pellegrinaggi, li si può onorare con festival, conferenze, iniziative. Noi stessi tra una settima avremo a Roma il Festival della matematica. A Firenze sono già partite le manifestazioni della Settimana della cultura scientifica. Ecco, queste sono celebrazioni come la messa di Pasqua. E come non basta solo una messa a Pasqua o a Natale a fare un buon credente, lo stesso vale anche per scienza, perché a parte la celebrazione annuale o centennale, serve la pratica quotidiana. Che inizia dal riprendersi i libri di Galileo in mano. Nel “Dialogo sopra i massimi sistemi”, ci sono le sue idee più feconde, le parole più elevate. Ricordo che Italo Calvino lo definì “il più grande scrittore italiano”. E così va letto il nostro primo e più grande divulgatore scientifico. Poi sono benemerite tutte le altre attività che ci fanno capire i suoi studi
In passato Firenze ha organizzato una mostra sul compasso di Galileo, ora ne ha aperta una sul cannocchiale: questo significa studiare il vero lascito dello scienziato. Meno che mai importa se era cieco, se la figlia è sepolta con lui, o scoprire la sua capacità cranica. Con Galileo, come con tutti gli scienziati, vale lasciar perdere il corpo e concentrarsi sulle astrazioni prodotte dalla sua mente. Senza dimenticarci, proprio per non santificarlo, di ricordare gli errori che fece, che furono tanti. “Il Saggiatore” del 1623 è un intero libro sbagliato: voleva dimostrare che le comete sono illusioni ottiche e non fenomeni fisici, svarione enorme anche se lì è contenuta la famosa pagina in cui paragona la natura e l’universo ad un libro aperto. Altro errore, nella quarta giornata del “Dialogo”, la teoria delle maree, poi corretta da Newton. Ma la scienza sa riconoscere i suoi errori e non c’è da vergognarsene. Comunque l’errore più grande di Galileo fu politico e non scientifico: aver abiurato. L’abiura è stato il vero passo falso e sta all’inizio del rapporto squilibrato tra scienza e fede, quello che permette a Giovanni Paolo II, nell’enciclica “Fides et Ratio”, di dire che Galileo è un precursore del Concilio Vaticano II. Poveretto. E si deve proprio a questa sua posizione ambigua, di essersi inginocchiato con gli occhi bassi dopo aver passato la vita a guardare le stelle.
Lunedì 10 marzo, all’Auditorium di Roma, in una serata di interviste impossibili, intervisterò Galileo, che avrà la voce di Silvio Orlando, e gli chiederò queste cose, compresi i motivi dell’abiura. Peccato che il testo sia già scritto, se avessi saputo che lo avrebbero scomodato nella tomba ne avremmo parlato. Anche se sono sicuro che la risposta sarebbe stata analoga a quella di Beppe Grillo «Ma vaffa…». Lasciatelo riposare in pace.