di
Mariella Immacolato
(Medicina Legale Asl1 di Massa e Carrara, Consulta di Bioetica)
Arriva da Londra la notizia che sei persone versano in gravi condizioni di salute a causa della partecipazione volontaria alla sperimentazione di un nuovo farmaco. Questo grave episodio ripropone con forza la necessità di un controllo pubblico non solo della eticità della sperimentazione ma anche dell’assistenza sanitaria che devono rispondere a criteri di appropriatezza etica.
Questa riflessione si pone con urgenza proprio oggi, 18 marzo, giorno in cui otto anni fa – il 18 marzo 1998 – l’allora ministro Bindi emanava i decreti che istituivano anche nel nostro paese i Comitati Etici Locali. La denominazione data loro “linee guida di riferimento per l’istituzione e il funzionamento dei comitati etici” lasciava ben sperare che il legislatore intendesse istituire organismi che a pieno titolo partecipassero alle politiche sanitarie come garanti della eticità dei percorsi sanitari.
A tutt’oggi dobbiamo invece constatare come gli interventi normativi fatti siano stati rivolti al solo settore della sperimentazione farmacologica sull’uomo. Mentre gli altri ambiti di competenza dei comitati etici, siano stati del tutto trascurati e lasciati alla buona volontà degli operatori. Il governo Berlusconi non ha fatto nulla in materia, ma i tempi sono ormai maturi per interventi sostanziali. Per questo oggi, 18 marzo, è una buona occasione per ricordare che nell’agenda del nuovo governo (di centro-sinistra) ci dovrà essere un posto per lo sviluppo dei decreti del ’98: urgente è l’esigenza di imprimere nuovo impulso ai Comitati etici esistenti e dare avvio alla costituzione di nuovi. Tali istituti sono infatti essenziali per garantire la trasparenza e la legittimità delle scelte sanitarie, nonché l’eticità della sperimentazione sull’uomo e sull’animale, della ricerca, della assistenza clinica in qualsiasi luogo essa venga fatta: università, ospedale, territorio. Inoltre, promuovendo la cultura dei diritti inalienabili della persona umana tra gli operatori sanitari, possono rafforzare quel rapporto di fiducia tra operatore e utente da tutti auspicato che tuttavia è sempre più a rischio.
Perché non si continui a rimanere, quando si parla di etica, solo nell’ambito delle buone intenzioni, e se si vuole concretamente che i Comitati etici concorrino a realizzare la buona e etica pratica clinica che i cittadini auspicano ricevere dalle strutture sanitarie, il nuovo governo dovrà emanare al più presto una normativa che stabilisca l’istituzione dei CE presso tutte le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, gli istituti universitari di ricovero e cura, pubblici e privati. Le funzioni dei Comitati saranno rivolte oltrechè alla sperimentazione farmacologia sull’uomo, alla diffusione della cultura bioetica, alla formazione bioetica del personale sanitario, alla consulenza etica agli organi di governo delle strutture sanitarie circa le politiche e i percorsi sanitari da attuare, all’approfondimento tematico, alla riflessione e alla elaborazione di pareri sui problemi di natura etica e giuridica che emergono nell’assistenza sanitaria. I CE con questi mandati potranno operare proficuamente affinché gli organi di governo delle strutture sanitarie non tengano conto soltanto degli aspetti tecnico-professionali ed economici delle prestazioni, ma pongano tra i loro obiettivi prioritari le risposte alle domande di salute che provengono dal contesto sociale dove operano, la tutela dei diritti fondamentali della persona umana nei percorsi sanitari, le implicazioni etiche insite nelle varie scelte organizzative. La normativa auspicata dovrà indicare procedure di nomina che garantiscano l’indipendenza dei CE dalle strutture sanitarie dove vengono istituiti, l’interdisciplinarità, il pluralismo etico, aspetti che costituiscono l’essenza del Comitato. Inoltre dovrà dare le disposizioni necessarie affinché le aziende sanitarie mettano a disposizione del comitato le risorse necessarie per il suo funzionamento.
Risulta evidente quanto sia importante definire il quadro organizzativo generale di questa tipologia di CE e tale definizione è auspicabile venga in seguito ad un serio dibattito pubblico che coinvolga le istituzioni e non lasciato alla iniziativa dei singoli o alla buona volontà personale.
In proposito già c’è il documento del CNB Orientamenti per i CE in Italia (2001), ma l’attuazione di questa proposta deve coinvolgere tutte le parti interessate: il CNB, i vari Comitati già operanti sul territorio, le Commissioni regionali per la Bioetica, le associazioni culturali del settore, gli operatori sanitari e quanti sono interessati alla materia.
I tempi sono ormai maturi affinché il CE realizzi in pieno e in concreto i mandati affidatigli dalle norme e dalla comunità sociale, non solo nell’ambito della sperimentazione, ma anche in quello dell’assistenza: di essere organo garante della sicurezza, dei diritti, della dignità dei soggetti utenti delle strutture sanitarie, e strumento di diffusione della cultura bioetica.