Indagini archeologiche/1

Indice

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Poggio Imperiale – l’indagine tra archeologia ed informatica

Negli anni ‘90 il Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena ha condotto un progetto di studio territoriale sulla Val d’Elsa, incentrato soprattutto sui distretti comunali di Colle Val d’Elsa e Poggibonsi.
L’indagine è stata articolata sull’integrazione fra fonti storiche e fonti archeologiche; all’interno della diacronia insediativa ipotizzata, la ricerca venne approfondita aprendo un’esteso cantiere di scavo a Poggio Imperiale.
Tra il 1991 ed il 1992 la collina è stata così sottoposta a indagini preliminari basate sulla ricognizione archeologica di superficie, affiancata dallo studio dei suoli destinati a seminativo, trattando al calcolatore una serie di fotogrammi aerei scattati a varie scale.

Dopo aver accertato l’entità del deposito archeologico, dal 1993 la collina è al centro di uno scavo archeologico che, con il 2004 ha raggiunto un totale di 36 mesi di lavoro, una rotazione di oltre 1000 archeologi e l’esplorazione di quasi 2 ettari di terreno. Lo scavo sta comunque continuando per tre mesi all’anno fornendo ulteriori ed interessanti spunti di ricerca che rivelano l’enorme potenziale archeologico e monumentale dell’area della fortezza.

La complessa sequenza archeologica riconosciuta offre un significativo campione della storia insediativa medievale toscana: ha inizio nei secoli della transizione dalla tarda romanità, prosegue per tutto l’alto medioevo e, dopo un’apparente interruzione, riprende fra metà XII secolo e inizi XIV secolo. L’occupazione più antica, durata per circa cinque secoli che non hanno lasciato traccia nelle fonti scritte, è suddivisibile in quattro macro fasi di villaggio.

Tra V e VI secolo, la collina era occupata da un nucleo di carattere agricolo ed allevatizio, del quale sinora sono state riconosciute solo alcune componenti. Dagli inizi del VII secolo agli inizi del X secolo evolve lentamente in un’azienda fondiaria. Le dimensioni dei contesti insediativi succedutisi, pur significative, sono da considerare parziali; abbiamo sino ad oggi indagato poco più del 16% del terreno, corrispondente a gran parte dell’area sommitale.
Il cantiere è nato come sperimentale, coniugando nuove strategie di indagine con le risorse messe a disposizione dalle nuove tecnologie. L’intero progetto è stato portato avanti in parallelo alla sperimentazione di un sistema di documentazione completamente informatizzata del cantiere di scavo. Il tentativo di gestire interamente in digitale lo scavo archeologico, si è imposto nel tempo come il contributo di grande novità che il progetto Poggio Imperiale sta portando. Poggibonsi è infatti l’unico cantiere interamente catastato all’interno di una piattaforma GIS (Geographic Information System) relazionata ad un articolato sistema di archivi; contiene l’intera memoria dell’intervento (dalle indagini preliminari al deposito archeologico, dagli scarichi di terreno derivati dalle operazioni di scavo al progetto di parco), permette inoltre lo sviluppo di nuove metodologie di interpretazione del record e la progettazione mirata sia dell’ampliamento dello scavo sia della sua musealizzazione.

L’indagine archeologica: L’insediamento tardoantico, V-VI secolo        

Le tracce dell’ insedìamento più antico sulla collina sono costituite dai resti di abitazioni a pianta rettangolare, con muri in terra 5 Dicembre, 2007vente.
La dimensione media delle case sui 30 mq., la loro dislocazione intorno ad una grande calcara, la presenza contigua di un tratto di campo arato od un esteso orto, di un deposito per acqua e di una zona per la macellazione di animali suggeriscono che si tratti di pertinenze di una più ampia azienda o villa di età gota, di cui non è ancora stata individuata la parte centrale, oppure di un generico complesso rurale tipo piccolo villaggio di contadini-pastori.

Le caratteristiche e le vicende di questo nucleo si inseriscono nel più ampio quadro della storia del popolamento rurale toscano nella transizione all’alto medioevo.
Un periodo caratterizzato dall’insorgere di un modello economico semplificato ed elementare, incentrato su un territorio regionale in profonda crisi ed in massima parte impoverito e spopolato, sul quale andarono per di più a gravare il ventennio della guerra greco-gotica, lo stato di desolazione che ad essa seguì con l’insorgere di una delle più gravi pestilenze dell’alto medioevo (quella dell’anno 543, paragonata per letalità all’epidemia di metà XIV secolo) .

In generale le strutture insediative (rappresentate da case sparse, piccoli centri degradati e grotte) sembrano frequentate da un esiguo numero di persone che, con il procedere della recessione ed il deterioramento del sistema produttivo, si erano ritrovate prive di un effettivo controllo.
Non ricevevano più direttive da un agente o da un proprietario ed erano saltati alcuni cardini sui quali si reggeva la fiscalità tardoantica; l’assenza di figure che conoscevano la dislocazione delle famiglie rurali impediva l’eventuale riscossione di tasse.
Nella seconda metà del VI secolo, forse sino agli inizi del VII secolo, più o meno tutte le sedi di popolamento furono abbandonate. Questo evento si coniuga al crollo definitivo dei paesaggi tardoromani ed alla conquista longobarda.

L’indagine archeologica: il villaggio di età longobarda

Dalla fine del VI secolo, assistiamo ad un cambiamento radicale degli spazi insediati. Il complesso tardoantico di case di terra venne abbandonato e si sviluppò un villaggio di capanne dotate di recinti, steccati ed annessi che componevano piccole unità di circa 80 mq.
Le capanne erano scavate nel terreno per una profondità di circa mezzo metro, avevano forma circolare ed una estensione media di 50 mq; sono definite del tipo grubenhaus.
Ad oggi sono sei i nuclei individuati, distanti fra i 20 ed i 25 metri l’uno dall’altro, per un totale plausibile di circa trenta abitanti. Se l’estensione della superficie insediata si confermerà intorno ai due ettari (in pratica l’area sotto scavo), la sommità della collina potrebbe essere stata occupata da dodici nuclei circa, permettendo di ipotizzare una sessantina di abitanti.
Questa stima è da considerare molto livellata verso il basso e destinata ad accrescersi con l’apertura dello scavo sulle altre superfici.
L’economia del villaggio era incentrata prevalentemente sull’allevamento, mentre sembra che l’agricoltura rivestisse un ruolo marginale, soprattutto ad integrazione della dieta quotidiana. Doveva quindi essere stato un insediamento inserito al centro di zone incolte e boschive, come indicano i risultati dell’analisi archeozoologica nel rivelare una grande superiorità numerica delle capre e delle pecore su tutte le specie riconosciute ed un aumento progressivo dei suini sino all’VIII secolo; questi dati sono indizio di attività silvo-pastorali predominanti.

Il villaggio di capanne riconosciuto a Poggibonsi fu uno di quei centri che dettero inizio al processo di costituzione della nuova rete insediativa seguita al crollo dei paesaggi tardo romani. Sul loro sviluppo dovettero interagire l’instabilità della fase storica in corso e la necessità di governare meglio, tramite la forza collettiva, una terra deteriorata e riconquistata dalla natura.
Una massa di contadini-pastori liberi di prendere decisioni e di spostamento, per motivi di convenienza pratica, si raccolse in villaggi.
Tendenzialmente i contesti indagati nelle campagne toscane furono centri di coagulo dei popolamento per meglio organizzare il territorio agrario: un insediamento accentrato permette più facilmente di attuare forme di sfruttamento estensive, di alternare periodicamente le colture e di sfruttare al meglio attrezzi agricoli complessi.
Sinora in Toscana altri tre casi di scavo (Scarlino nel grossetano, Donoratico nel livornese e San Genesio nel pisano) chiariscono quali furono le modalità di formazione dei villaggi: vennero privilegiate soprattutto le aree di sommità e talvolta gli spazi pianeggianti, ripercorrendo dei siti che più o meno stabilmente erano stati oggetto di frequentazione in età tardoantica e, come sembra, abbandonati da poco tempo.

L’indagine archeologica: prima trasformazione del villaggio di età longobarda, VIII-inizi IX secolo

In questo periodo il villaggio inizia a trasformarsi: la trama delle capanne si fa più fitta e si accompagna ad un progressivo raggruppamento di sei edifici intorno ad una piccola corte, in parte cinta da una bassa palizzata e costeggiata da una viabilità in terra battuta.
Il villaggio era costituito da capanne abitative, stalle od altri ricoveri per animali, spazi aperti destinati allo svolgimento di attività rurali ed artigianali. L’agricoltura iniziò ad avere maggior peso come dimostra l’aumento progressivo degli animali da tiro. La costruzione del complesso di edifici raccolti intorno ad una corte (le cui prime tracce sono presenti agli inizi del secolo in forma già evidente) è interpretabile come l’inserimento all’interno del villaggio di Poggibonsi di un proprietario o di un suo actor; rappresenta non solo l’indizio di gerarchizzazione sociale, ma anche un cambiamento ed un maggiore controllo5 Dicembre, 2007squo;archeologia dei villaggi toscani mostra chiaramente come la formazione e la stabilizzazione di ricchezze rurali private si siano andate definendo tra la metà del VII e l’VIII secolo; ne sono testimonianze le trasformazioni urbanistiche dei centri esistenti e la fondazione di nuovi insediamenti.
Gli scavi, come nel caso di Poggibonsi, registrano dei cambiamenti sostanziali: i nuclei di popolamento iniziarono ad evolvere in centri di gestione del lavoro, la cui natura è comprensibile con la comparsa di strutture di coordinamento della produzione assenti nelle prime fasi.

L’indagine archeologica: la trasformazione del villaggio in curtis. IX-X secolo

In età carolingia il villaggio si trasforma radicalmente, assumendo le caratteristiche di una curtis, cioè in una grande azienda rurale, strutturata in un complesso di terre gestite direttamente dal proprietario (dominicum) ed altre date in gestione a coloni (massaricium) che avevano anche l’obbligo di prestare delle giornate di lavoro (operae, corvées) sui terreni padronali.
L’archeologia sta mostrando la presenza del centro di una curtis: vi risiedevano il signore, i contadini (dipendenti e non) ed i pastori, si immagazzinavano le derrate alimentari e si svolgevano le più diverse attività artigianali.
Il villaggio è riorganizzato intorno ad un grande edificio (longhouse).
Da questo si dipartiva una strada in terra battuta, affiancata da un edificio di servizio destinato alla macellazione della carne. Era contornato da capanne di dimensioni minori, da un’area destinata ad ospitare strutture artigianali (una fornace da ceramica ed una forgia da ferro) e da un grande granaio. Un’area aperta con grandi contenitori infissi nel terreno, steccati e concimaia ha mostrato i resti delle attività quotidiane di una popolazione rurale.

A Poggibonsi, il centro della curtis era articolato nella residenza padronale, in strutture artigianali ed ausiliarie, in abitazioni più piccole che sembrano riconducibili a servi o dipendenti operanti nel dominico con mansioni collegate all’allevamento degli animali, alla produzione di generi alimentari e di strumenti di lavoro. La specializzazione nell’allevamento di caprovini, la presenza di bovini macellati in età avanzata, fanno pensare che le superfici agricole del dominico venissero gestite soprattutto tramite corvées concedendo l’impiego dei propri animali.
L’esistenza di strutture di accumulo individua anche per questo villaggio l’immagazzinamento di quote canonarie. L’alimentazione è poi uno degli indicatori più evidenti a conferma della presenza di una differenziazione sociale ed interessante è il tipo di distribuzione della carne che effettua il dominus tra i suoi diretti dipendenti con un ulteriore collegamento fra qualità della carne e diverso ruolo o posizione rivestita. La famiglia dominante consumava molta carne di prima scelta e di tipo diversificato, i dipendenti più stretti accedevano a tagli di seconda scelta, il resto della popolazione a tagli di terza scelta.

L’indagine archeologica: la zona di Poggibonsi tra X secolo e metà del XII secolo

La storia conosciuta della zona, prima degli scavi archeologici, ha inizio con la fondazione nell’altomedievo del monastero di San Salvatore a Marturi. le cui vicende sono ignote sino dalla rifondazione di San Bononio del 998. L’abbazia, in questo anno, fu dotata da Ugo di Toscana di numerose proprietà; dalla dotazione veniamo così a sapere che era fondata nel castello di Marturi anch’esso trasferito ai monaci.
La proprietà demaniale ed i beni allodiali detenuti dalla casata marchionale di Toscana, la politica patrimoniale del monastero stesso, il flusso di merci e persone che comportava la presenza di un importante diverticolo della via Francigena in funzione probabilmente dalla fine del X secolo, favorirono una sensibile crescita della rete insediativi; ad essa si legò anche lo sviluppo di un villaggio aperto più a valle, noto con il toponimo di Borgo Marturi (odierno Poggibonsi).

Il passaggio della via Francigena, caratterizzava lo sviluppo e la politica economica di questa parte del territorio valdelsano. In merito all’importante direttrice viaria, è stato ricostruito un itinerario principale in funzione già alla fine del X secolo e con andamento parallelo ai corsi dell’Elsa e dello Staggia che, proveniente da Lucca, toccava San Gimignano, S.Martino ai Fosci, Campiglia, Boscona, Pieve d’Elsa e Badia a Isola, raggiungendo poi Siena.
L’estesa collina che sarà scelta per edificare il castello di Poggio Bonizio era posto su uno dei diverticoli del tracciato principale (la Francigena di fondovalle, già frequentata nell’XI secolo) proveniente da Lucca-Certaldo, diretto verso Siena costeggiando la riva sinistra dell’Elsa e dello Staggia; un nodo stradale di grande importanza al quale si collegavano alcuni dei maggiori raccordi toscani.
La crescente importanza che tale angolo della Val d’Elsa assunse nel corso dei secoli XI e XII, la sua posizione strategica al confine meridionale del contado fiorentino, la forte base patrimoniale qui detenuta da Guido Guerra (fedele all’autorità imperiale nonchè figlio adottivo della contessa Matilde di Toscana) e, non ultima, la probabile ricerca di autonomia dalla giurisdizione spirituale del vescovo fiorentino operata dalla pieve di Marturi, portarono ben presto Firenze ad intervenire.
Nel 1155 le milizie fiorentine attaccarono la zona e distrussero il castello di Marturi. L’azione ostile di Firenze s’inseriva nel quadro di una forte inimicizia tra la città ed i Guidi, che dette luogo a numerosi scontri anche in altre aree toscane. Come conseguenza dell’attacco a Marturi, il conte Guido ed i senesi decisero la costruzione del castello di Poggio Bonizio sulla collina di fronte al monastero, superfjci che, dalla metà del X secolo, restituiscono indicatori archeologici ben databili che attestino la frequentazione dell’area. Questo dato può essere spiegato in due modi: ipotizzando l’abbandono dell’insediamento oppure l’assenza di indicatori archeologici è dovuta alle grandi operazioni svolte per la costruzione e per le successive ristrutturazioni di Poggio Bonizio.

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