Dallo scavo al laboratorio
La divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa si sta occupando dello studio antropologico e paleopatologico degli individui rinvenuti all’interno dell’area cimiteriale della Pieve di Pava. Gli scavi sono condotti dall’Università degli Studi di Siena.
Progetto Pava:
indagini territoriali, diagnostica, prima campagna di scavo
A cura di S. Campana*, C. Felici*, R. Francovich**, L. Marasco*
con contributi di, C. Lubritto***, A. Pecci****, C. Viglietti*****
(Tratto da Archeologia Medievale XXXII, 2005)
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La progettazione e la realizzazione della prima campagna di scavi archeologici sul sito di Pava, rappresenta l’esito di un processo di studio pluriennale del paesaggio archeologico della Valle dell’Asso e della Val d’Orcia. Il sito archeologico è situato su un terrazzo alluvionale antico destinato, quantomeno dall’epoca moderna, a fondo agricolo. Si tratta di un’area appena sopraelevata a ridosso della confluenza di due torrenti, l’Asso e la Trove. Acqua e viabilità sembrano occupare ruoli centrali nell’assicurare una lunga continuità di vita, un arco cronologico che si estende probabilmente dall’età etrusca fino al bassomedioevo. Gli elementi archeologici evidenti prima dello scavo sono stati acquisiti progressivamente dal 2000 con le ricognizioni di superficie realizzate per il progetto Carta Archeologica della Provincia di Siena1. In seguito al survey abbiamo ipotizzato una frequentazione che dal II secolo a.C. si prolunga fino al VI secolo d.C., apparentemente senza soluzione di continuità. L’interpretazione del contesto tardo etrusco è riconducibile ad una generica frequentazione dell’area, mentre in età romana abbiamo ipotizzato l’esistenza di una struttura legata alla viabilità che si protrae fino alla tarda antichità2. Di difficile interpretazione è risultata la presenza di un cospicuo numero di ossa umane che può prestarsi all’elaborazione di scenari significativamente differenti.
Il Progetto Pava ha l’obiettivo metodologico di verificare tramite l’intervento diretto le specifiche problematiche storiografiche. Le domande archeologiche sono invece connesse allo studio di un sito “mediocre” della bassa provincia di Siena ma proprio per questo estremamente rappresentativo. Centrale è chiarire il legame tra la situazione rilevata tramite le indagini archeologiche e l’attestazione nelle prime carte della disputa fra la diocesi di Siena e di Arezzo del 714-715, di un baptisterium Sancti Petri in Pava, collocabile in corrispondenza o nelle immediate vicinanze dell’attuale chiesa di Santa Maria, che domina dalla sommità di una collina il sito archeologico oggetto di scavo. Dal IX secolo i documenti attestano la probabile presenza di due edifici religiosi a Pava. In uno dei documenti della contesa, dell’anno 853, nello stesso testo si parla infatti di una pieve di S. Pietro e di una pieve di S. Maria in Pava. La certezza che la denominazione di S. Maria ha definitivamente rimpiazzato quella originaria di S. Pietro si ha da un documento del 1045, rogato sempre nell’ambito della Disputa, in cui si fa esplicito riferimento solo alla pieve di S. Maria in Pava6. Non possiamo ignorare la presenza nelle vicinanze del sito di altre forme insediative alcune delle quali centrali nella modellistica medievale toscana e italiana. Ci riferiamo ai castelli, nel nostro caso di Lucignano d’Asso, Monterongriffoli e San Giovanni d’Asso che ci obbligano ad estendere il raggio delle indagini diagnostiche e stratigrafiche.
* Università di Siena, Area di Archeologia Medievale, Laboratorio
di Archeologia dei Paesaggi e Telerilevamento (LAP&T),
lapet@lapetlab.it
** Università di Siena, Archeologia Medievale, francovich@unisi.it
*** Seconda Università di Napoli, Center for Isotopic Research
for Cultural and Environmental heritage (CIRCE), carmine.
lubritto@unina2.it
**** Università di Siena, Area di Archeologia Medievale, Laboratorio
Archeometrico (LSAA), pecci@unisi.it
***** Università di Siena, Dipartimento di Archeologia e Storia
delle Arti, cviglietti@libero.it
1 Progetto attivo dal 1990 presso il Dipartimento di Archeologia
e Storia delle Arti dell’Università di Siena in collaborazione con la
Provincia di Siena, FRANCOVICH, VALENTI 2001.
2 FELICI 2003, pp. 331-336.
3 Sull’attività di ricerca del Laboratorio di Archeologia dei Paesaggi
e Telerilevamento una recente sintesi, CAMPANA 2005, pp. 233-261.
4 CDL, SCHIAPARELLI 1929 nn. 19, 20.
5 PASQUI, 1899-1937, n. 11. In tale questione va senza dubbio
tenuto conto della possibilità di un errore del notaio che nel corso
dell’XI secolo ha copiato i documenti, forse inserendo di suo pugno
il nome della pieve che conosceva nel suo tempo, confondendolo
con l’intitolazione precedente.
6 PASQUI, 189-1937, n. 18. Questa documentazione, nonché le problematiche
delle dinamiche insediative ad essa connesse, costituiscono
l’oggetto del progetto di dottorato (XVIII ciclo) di uno dei presenti
autori che prevede specificatamente lo studio degli insediamenti rurali
fra V e VIII secolo nell’area della disputa, in particolare intorno alle
antiche pievi contese presenti nel 715 sul territorio. Per una descrizione
dettagliata del progetto, FELICI 2003, pp. 267-288.
Frequentazione di età tardo-antica non identificata
Seppur in modo incerto la prima frequentazione è riferibile ad un’età tardo-antica compresa tra il IV ed il VI secolo d.C. Si tratta di una presenza antropica testimoniata da uno strato di laterizi da copertura (tegole) disposti in piano e sovrapposti, rinvenuti al di sotto di alcuni elementi murari della prima chiesa. In relazione a questo strato si sono recuperati alcuni lacerti di terreno carbonioso contenente reperti vitrei, ossei e ceramici relativi a forme aperte ingobbiate di rosso imitanti prodotti in sigillata africana (tipo Hayes 61). A supporto di questa generica datazione, è stata effettuata l’analisi radiocarbonica che ha fornito una datazione assoluta compresa tra la metà del V e i primi decenni del VI (I risultati in dettaglio sono i seguenti: 427-442 AD (19%); 453-461 (9%); 484-533 (72%).
Fase A
Il primo edificio religiosoAl di sopra della frequentazione tardo-antica sono state individuate una serie di attività riferibili alla costruzione dell’edificio religioso, identificabile con quello di S. Pietro in Pava. Della chiesa si è¨ rinvenuto al momento parte del perimetrale nord, conservato per circa un filare e parte della curva absidale, con fondazione e corpo interno a sacco, e paramento in grossi blocchi regolarizzati a spacco. Il muro perimetrale costituito da pietrame non lavorato e laterizi legati con argilla, con il paramento interno regolarizzato da uno spesso strato di malta di calce lievemente lisciata e a composizione grossolana. All’interno dell’ambiente orientato est-ovest, si individua poi un elemento murario di simbolica divisione tra l’area presbiteriale e la navata, forse relativo ad un arcone. Nel centro dell’area absidale si colloca un elemento costituito da un muretto di laterizi di recupero (perlopiù tegole ad alette) legati con argilla, intonacato a calce su entrambe le superfici e in parte decorato con intonaco a calce colorato con pittura rossa. L’aspetto materiale della struttura e la sua collocazione sembrano indicarne l’identificazione con un banco presbiteriale. Al centro dello spazio concavo del banco, in un momento successivo, ma forse contestuale, viene predisposto un ampio basamento quadrato costituito da laterizi frammentari di recupero (tegole, coppi e lastroni pavimentali), legati da argilla. Anche per questa struttura l’identificazione funzionale è suggerita dal rapporto con il resto della struttura, probabilmente un basamento d’altare. Pochi sono i dati relativi all’ambiente interno dell’edificio e al suo sviluppo verso ovest, di cui non è possibile definire l’estensione. Per quanto riguarda l’inquadramento cronologico di questa prima fase sono pochi i dati archeologici utilizzabili, anche perchè non sono state raggiunte le stratigrafie orizzontali della frequentazione originaria. Gli indicatori di cronologia assoluta possono essere ricavati principalmente dallo studio architettonico dell’edificio principale. I confronti della planimetria (ampio edificio rettangolare con abside, banco presbiteriale, probabile recinzione presbiteriale) e la tecnica del riuso di materiale romano, collocano le evidenze tra V e VI secolo d.C. Tale datazione trova corrispondenza con le analisi radiocarboniche eseguite sullo strato del Periodo I tagliato da alcune murature della chiesa (484 – 533 AD).
Fase B
Nuovi interventi di età altomedievaleI pochi dati riferibili alla vita e alla frequentazione della prima chiesa di Pava durante i secoli altomedievali si possono interpretare come interventi di ristrutturazione interna dell’edificio. Si tratta della costruzione di un allineamento murario nord-sud posto di fronte all’altare a separare (e forse a chiudere) la zona presbiteriale dal resto dell’edificio. Si tratta di un allineamento non continuo, ma interrotto al centro da una soluzione di continuità dovuta alla probabile presenza di un’apertura. I due bracci murari così creati sono costituiti da grossi blocchi non lavorati legati de terra e usati come base per un probabile alzato in materiale deperibile. L’allestimento dei due muri à avvenuto tramite un ampio taglio di fondazione praticato su quelli che sembrano essere i livelli di frequentazioni originari della chiesa (non ancora indagati). Al momento non è possibile definire in modo più preciso la funzione e la consistenza dell’elemento divisorio individuato, ne capire in che modo abbia influito su un eventuale cambio di utilizzo e destinazione delle due aree in cui risulta diviso l’edificio. Non possiamo escludere che si sia trattato di un rafforzamento della divisione tra area presbiteriale e navata.
Fase C
Il crollo strutturale dell’absideIn un momento forse lievemente successivo agli interventi di rifacimento altomedievali, si assiste al disfacimento di parte della curva absidale, con il crollo della muratura verso il limite orientale dell’area di scavo. Tale evento, documentato dal rinvenimento di ingenti strati di accumulo, può essere datato dal taglio di una sepoltura effettuato proprio sulla cresta del muro crollato. La datazione radiocarbonica dei resti scheletrici ha permesso di definire con il 94% di probabilità una datazione assoluta tra l’899 e il 988 AD. Una seconda sepoltura è stata rinvenuta a breve distanza dalla prima, tagliata nello strato di crollo delle murature, e databile con il 91,5% di probabilità tra fine X e prima metà XI secolo d.C. (993-1041 AD). Nel corso quindi del X secolo è possibile collocare il crollo dell’abside e l’accumulo in tutta l’area presbiteriale del materiale di risulta. Successivo al crollo della conca absidale e a queste sepolture è il disfacimento del banco presbiteriale interno. La datazione radiocarbonica di campioni organici prelevati da questo strato ha indicato una cronologia assoluta nella seconda metà dell’XI secolo (1046-1091 AD), in perfetta corrispondenza quindi con la sequenza relativa dei rapporti stratigrafici diretti.
Fase A-Costruzione di un nuovo edificio
In connessione diretta con i primi segni di crollo e cambio di funzione di una parte delle strutture dell’antica pieve si sono rinvenuti nella porzione occidentale dell’edificio religioso numerosi indizi di profondi interventi di ristrutturazione. A ovest, infatti, del muretto aggiunto in età altomedievale, a circa un metro di distanza, viene costruito un nuovo elemento divisorio, con uso di malta e pietre sbozzate, con un’apertura centrale in asse con l’interruzione del precedente elemento altomedievale e con l’antica area dell’altare. La nuova fase costruttiva, inquadrabile tra XI e XII secolo porta all’erezione di un nuovo edificio religioso, che riutilizza i perimetrali della chiesa precedente e che si sviluppa verso ovest, dalla parte opposta a quella interessata dai ruderi dell’antica struttura absidale. I dati in nostro possesso sembrano spingere verso l’ipotesi di un capovolgimento della pianta della chiesa, con la costruzione di una nuova facciata di ingresso ad est. Tutti questi interventi vengono eseguiti dopo la creazione di un omogeneo livello di appoggio, ottenuto accumulando i materiali dei crolli precedenti a formare un piano praticabile. Lo stesso procedimento viene utilizzato all’interno della navata, con il deposito di una serie di strati di terra e pietrame a regolarizzare l’area. Su questi sono stati recuperati chiari indizi dell’allestimento del cantiere della nuova chiesa. Sul lato meridionale della navata sono emersi due grossi basamenti in pietra e malta, di cui il primo posto nell’angolo tra la nuova facciata e il perimetrale sud, il secondo in mezzo alla chiesa a ridosso della parete meridionale. Benchè non si siano recuperati indizi archeologici in merito alla loro funzione, i confronti con contesti simili, databili tra XI e XII secolo, ci spingono ad ipotizzare la funzione rispettivamente di basamento di un pulpito e di base del fonte battesimale. Il risultato di questa nuova fase costruttiva è un nuovo edificio religioso, con caratteristiche tecniche che permettono di proporre una datazione alla seconda metà dell’XI-inizi XII secolo, in età pre-romanica.
Fase B-Crollo della chiesa in età romanica
Se, come abbiamo visto, scono scarsi i dati archeologici riferibili all’utilizzo della nuova chiesa, più chiara è la fase relativa all’abbandono e al crollo definitivo della stessa. Tale evento è avvenuto ad una distanza molto breve dalla costruzione, prima della fine del XII secolo. All’interno del nuovo perimetro, infatti, sono stati recuperati diversi strati sterili di terra sabbiosa estesi a tutto l’edificio, che sembrano interpretabili come dilavamento dal terreno esterno. Al di sopra di questi strati, che già indicano un probabile abbandono dell’edificio, si accumulano quelli di crollo veri e propri, composti da abbondante pietrame di varie dimensioni e laterizi. Non si è rinvenuto invece il crollo della copertura del tetto, forse asportato prima dell’abbandono. All’interno di questi strati sono stati recuperati numerosi indicatori archeologici, numismatici e ceramici, che contribuiscono a delineare con chiarezza una datazione entro il XII secolo. Sembra plausibile immaginare che dopo il tentativo di recupero della pieve nell’XI secolo sia stata definitivamente abbandonata e lasciata crollare. Solo più tardi, in un momento successivo non meglio definibile, si collocano numerose attività di spoliazione e recupero del materiale costruttivo, sia con buche scavate sul crollo e che con fosse di spoliazione tagliate lungo i muri perimetrali.
L’area cimiteriale, a fine campagna 2005, ha raggiunto il numero complessivo di 83 sepolture, di cui 61 indagate. Tutte le sepolture risultano tagliate negli strati di terra che coprono il crollo della chiesa pre-romanica. La cronologia di questa massiccia fase di utilizzo funerario dell’area circostante la chiesa sembra datarsi dal XII a tutto il XIII secolo. Questa cronologia è stata individuata grazie all’uso di datazioni al radiocarbonio effettuate su alcuni campioni di sepolture ed è stata confermata dai dati stratigrafici emersi nel corso della campagna di scavo 2005. Le sepolture si collocano sistematicamente all’esterno della chiesa rispettando l’invaso degli edifici, suggerendo la presenza degli stessi o di ruderi che rendevano visibile il perimetro originario. Questo dato risulta particolarmente interessante nel caso ad esempio della facciata della seconda chiesa, non individuata direttamente a causa di asportazioni successive, ma di cui è ipotizzabile la posizione in base proprio alla presenza delle sepolture. Il cimitero è di tipo comune, con presenza di individui maschi e femmine, adulti e bambini, sepolti in semplici fosse terragne, in alcuni casi con presenza di assi o altri elementi lignei a contenere il corpo. Per il momento non sono emersi elementi di corredo o altri indizi significativi riferibili ad elementi di distinzione sociale dei defunti. In tal senso, forse, l’unico elemento distintivo che si può riconoscere è nel posizionamento delle sepolture più o meno vicina ai resti della chiesa, indicativo della volontà /possibilità di partecipare il più possibile alla sacralità dell’area.
Durante la seconda campagna è stata delineata con chiarezza la struttura della fornace, in parte già individuata nel corso del 2004. Nel dettaglio lo scavo ha previsto l’asportazione del crollo del canale del prefurnio, della camera di combustone e di parte del crollo che occupava la camera di cottura. La fornace è risultata essere in muratura, a pianta rettangolare e con camera di cottura sopraelevata. La struttura presenta una stretta camera di combustione orientata nord-sud, realizzata in grosse pietre e laterizi di recupero legati da argilla, con copertura costituita da pezzi trapezoidali di materiale refrattario di cui rimane parte dell’avvio di curvatura sul muretto occidentale. Sul fondo della camera, al di sotto del crollo della volta è emerso uno spesso strato di carboni e terra annerita, prodotto dalle attività di combustione. All’estremità nord della struttura è stata individuata la camera di cottura, separata da quella di combustione da un muretto trasversale, rialzata dal fondo per mezzo di un muretto assiale al centro della camera (Fornace tipo II/a della tipologia Cuomo di Caprio, CUOMO DI CAPRIO 1985, pp. 138-141). I dati recuperati permettono di ipotizzare una doppia funziona della struttura; venivano cioè cotti sia laterizi che ceramica. Per quanto riguarda la cronologia, la tipologia richiama direttamente la tradizione romana di età imperiale e tardoantica. Ad un’età più recente arrivano però le datazioni al radiocarbonio di carboni rinvenuti nel crollo della fornace stessa e dei carboni del piano di cottura, che hanno restituito datazioni rispettivamente comprese fra il 708 e il 747 d.C. e fra il 663 e il 723 d.C. L’indagine dell’area circostante la fornace ha evidenziato la presenza di ingenti accumuli artificiali, costituiti da strati di terra annerita con elevata presenza di materiale ceramico, malta, frammenti di cocciopesto, ossa, riferibili forse ad un’area di discarica o ad un livellamento ottenuto intaccando strati di disfacimento di precedenti strutture. Tra gli elementi di maggior interesse presenti in questi strati vi è un discreto numero dei cosiddetti tubuli a siringa o anche vaulting tubs molti dei quali ancora impilati l’uno nell’altro ad indicare l’utilizzo della tecnica edilizia romana e paleocristiana delle volte “leggere” o “sottili” in una struttura presente prima della costruzione della fornace. In origine la tubazione doveva far parte di una costruzione voltata, della quale le file di tubi formavano un’intercapedine di riscaldamento o semplicemente di alleggerimento delle volte.