Luca Ventura*, Cinzia Mercurio*, M. Cristina Guidotti**,
Gino Fornaciari***

* U. O. di Anatomia Patologica, Ospedale San Salvatore, L’Aquila.
** Soprintendenza Archeologica della Toscana, Firenze.
*** Divisione di Paleopatologia, Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina, Università di Pisa.

Introduzione
Il materiale contenuto nei vasi canopi costituisce un oggetto di studio relativamente raro e sull’argomento è disponibile un limitato numero di studi scientifici. L’analisi istologica di tali materiali può fornire informazioni utili sulle malattie e lo stato di salute degli antichi Egizi. Oggetto del presente studio sono stati i frammenti di materiale disidratato contenuti in quattro vasi canopi anepigrafi, conservati nel Museo Egizio di Firenze, appartenuti ad un singolo individuo vissuto nel Nuovo Regno (1550-1069 a. C.)

Materiale e metodi
Frammenti di organi mummificati sono stati rinvenuti in quattro vasi canopi anepigrafi (inventario nn. FI 2198, FI 2199, FI 2200, FI 2201), raffiguranti rispettivamente teste di uomo, di falco, di sciacallo e di babbuino. I canopi appartenevano ad un unico individuo vissuto nel Nuovo Regno (1550-1069 a. C., dinastie XVIII-XX). A causa della mancanza di informazioni circa il trattamento conservativo cui il materiale era stato sottoposto in orgine, si è proceduto alla reidratazione secondo metodiche standard, con alcune modifiche originali. I campioni prelevati dai vasi canopi sono stati reidratati in soluzione di Sandison (30 volumi di alcol etilico al 95%, 50 volumi di formalina all’1 %, 20 volumi di carbonato di sodio al 5 %) per una durata variabile da 2 a 5 giorni. Trattandosi di materiale delicato e friabile, i campioni sono stati preliminarmente inclusi in agar, in modo da limitare al massimo la frammentazione, senza per questo impedire la reidratazione del materiale. Dopo post-fissazione in formalina tamponata neutra al 10 % per 1 giorno il materiale è stato processato secondo le procedure quotidianamente impiegate nella diagnostica routinaria. I campioni sono stati quindi inclusi in paraffina al fine di ottenere sezioni istologiche dello spessore  di 4 mm, colorate con ematossilina-eosina, tricromica secondo Masson, impregnazione argentica secondo Gomori, acido periodico di Schiff, blu di Prussia secondo Perls, van Gieson per le fibre elastiche e Ziehl-Neelsen per la ricerca diretta di bacilli alcol-acido resistenti.


Risultati
L’esame paleoistologico del materiale ha consentito di effettuare diagnosi di organo e di riconoscere alcune patologie di rilievo. I campioni contenuti nei primi due canopi (con teste umana e di falco, nn. FI 2198 ed FI 2199) erano riferibili a polmoni, come desumibile dalla struttura dalla struttura alveolare, parzialmente riconoscibile a livello microscopico. In entrambi i casi sono stati riscontrati depositi abbondanti e multifocali di pigmento antracotico che, da un lato, confermavano la diagnosi d’organo e dall’altro autorizzavano la diagnosi di antracosi polmonare. L’analisi istologica evidenziava inoltre aree multiple di fibrosi stromale, maggiormente evidente nei preparati colorati con la tricromica di Masson, nonché la presenza di abbondanti quantità di ife e spore fungine. L’osservazione dei preparati a luce polarizzata consentiva di evidenziare piccoli cristalli aghiformi birifrangenti, localizzati prevalentemente nelle aree di fibrosi ed in stretto rapporto con il pigmento antracotico. Tale riscontro consente di precisare la diagnosi di silicoantracosi polmonare.
Lo studio istologico dei restanti due campioni (vasi con teste di sciacallo e di babbuino, nn. FI 2200 ed FI 2201) ha invece presentato notevoli inconvenienti tecnici ed interpretativi. La reidratazione dei campioni è stata ripetuta per ben cinque volte, ma non ha consentito risultati tecnicamente accettabili. Le condizioni del materiale non hanno permesso una reidratazione adeguata, da cui la relativa difficoltà nell’allestimento di sezioni istologiche complete. L’esame microscopico dei minuti frammenti che restavano adesi al vetrino evidenziava materiale amorfo di colorito brunastro e numerose fibre cristalline, birifrangenti a luce polarizzata. Detti reperti non consentivano una diagnosi d’organo né di malattia.

Discussione
Le procedure di imbalsamazione utilizzate dagli Egizi raggiunsero il massimo livello di accuratezza nel periodo del Nuovo Regno, ma appaiono variabili in base all’abilità degli imbalsamatori, all’importanza del defunto, alla moda o alla disponibilità dei materiali. In questo periodo, i principali visceri estratti dal cadavere venivano disidratati col natron e conservati in appositi contenitori accanto al sarcofago. A partire dal Medio Regno questi erano costituiti da quattro vasi in pietra o in argilla dotati di coperchi antropomorfi, ciascuno dei quali raffigurava una delle divinità figlie di Horus: Amset, con la testa di uomo, custodiva il fegato; Hapi, con la testa di babbuino, i polmoni; Duamutef, con la testa di sciacallo, lo stomaco; Kebekhsenuf, con la testa di falco, l’intestino. Nel corso della XXI Dinastia, per ragioni a noi ignote, divenne comune riporre gli involucri di lino contenenti gli organi all’interno del cadavere e, col passare del tempo, i canopi divennero semplici amuleti destinati a non esser più riempiti.
Lo studio paleoistologico costituisce un elemento essenziale dell’indagine paleopatologica su resti umani mummificati. Le metodiche istologiche, sebbene non conservative, consentono di fornire dati irrinunciabili ai fini dell’interpretazione del materiale in esame. Lo studio istologico degli organi contenuti nei vasi canopi costituisce un’evenienza piuttosto infrequente e presenta alcune difficoltà aggiuntive, dovute alla fragilità dei reperti ed al loro valore scientifico e culturale.
Sebbene riferito ad un individuo di identità ignota, l’esame paleoistologico ha consentito di effettuare diagnosi di organo nel materiale contenuto in due vasi canopi e di identificare in entrambi i campioni condizioni patologiche rilevanti ed alterazioni da contaminazione postmortale. L’identificazione di tessuto polmonare in due contenitori differenti da adito a qualche dubbio sull’abilità degli imbalsamatori, in quanto i canopi in questione avrebbero dovuto contenere rispettivamente fegato ed intestino. A difesa degli imbalsamatori va però ricordato che i coperchi dei vasi potrebbero esser stati manomessi in periodi successivi all’imbalsamazione. Nessuna conclusione può invece esser effettuata per i frammenti contenuti nei rimanenti due vasi la cui identificazione risulta impossibile allo stato attuale, sebbene sia probabile l’ipotesi che possa trattarsi di materiale cristallizzato e frammenti di tessuto utilizzato per avvolgere gli organi. La nozione storica che i canopi corrispondenti dovrebbero contenere stomaco e polmoni non dirime i dubbi.
La diagnosi di silicoantracosi polmonare in un soggetto egizio non desta meraviglia, essendo questa forma di pneumoconiosi particolarmente frequente in una popolazione costantemente esposta all’inalazione della silice contenuta nelle sabbie desertiche della regione. L’antracosi polmonare rappresenta un reperto estremamente comune nelle popolazioni antiche, essendo correlata all’inalazione delle particelle di carbone derivanti dalla combustione in ambienti chiusi a scopo di riscaldamento o per la cottura dei cibi. Per questi motivi, l’antracosi polmonare appare ben descritta nella letteratura paleopatologica e documentata in reperti appartenenti alle epoche e culture più disparate. La colonizzazione del tessuto polmonare da parte di ife e spore fungine, sebbene di proporzioni notevoli, è sicuramente riconducibile ad un fenomeno postmortale e non deve essere confusa con l’evenienza di un’infezione contratta in vita.
I risultati del nostro studio confermano che le metodiche istologiche possono fornire risultati utili anche nel caso di materiale ottenuto da vasi canopi.

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