Risultati della Campagna 2016 e Prime Sintesi

Lo scavo bioarcheologico di un monastero lungo la via Francigena

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Premessa

A partire dal 2011 l’area dell’abbazia di San Pietro di Pozzeveri è oggetto di campagne archeologiche annuali nei mesi di giugno-agosto1. Lo scavo del sito di Pozzeveri, che, come vedremo, è noto dalle fonti scritte già a partire dal X secolo, e fu poi sede di una canonica nell’xi e quindi di un monastero tra i maggiori della diocesi lucchese, è stato condotto  a partire da un punto di vista del tutto particolare: quello dei resti umani. Come è noto, i siti ecclesiastici medievali (parrocchie, ospitali, pievi, monasteri ecc.) sono tutti caratterizzati dalla presenza di cospicue stratificazioni cimiteriali, e le aree sepolcrali sono in stretta contiguità con gli edifici religiosi per tutto   il corso del Medioevo e dell’Età moderna, fino ai cambiamenti epocali portati dalle nuove leggi sanitarie promosse dall’illuminismo settecentesco, che si affermano progressivamente in Italia e in Toscana nel corso della prima metà dell’8002. Studiare i resti umani non significa soltanto ricavare dati di carattere paleodemografico, determinando il sesso o l’età di morte degli individui, ma anche avere a disposizione una mole enorme di elementi per ricostruire le vicende dei gruppi umani del passato. La bioarcheologia considera i resti scheletrici come veri e propri archivi biologici da interrogare per ottenere risposte sull’ambiente umano naturale e sociale, attraverso la ricostruzione delle caratteristiche fisiche, della paleodieta, dell’ergonomia, delle malattie, fino alle informazioni desumibili dallo studio molecolare dei campioni biologici. Le acquisizioni bioarcheologiche sono però significative solo se strettamente legate alle informazioni di contesto, che permettono di associare manufatti ai reperti osteologici, di collegare la cultura materiale ai resti degli stessi attori di quella cultura. In quest’ottica il corpo umano va visto come risultato di un processo biologico e culturale che ne plasma i caratteri in senso adattativo, in cui le due componenti, quella biologica e quella culturale, sono indissolubilmente legate. Una volta delineato lo sfondo su cui si muove la ricerca, in questa sede ci soffermeremo, per ragioni di spazio, soltanto su alcuni aspetti di essa, in particolare sull’evoluzione strutturale dell’insediamento in relazione agli spazi funerari. Per comprendere il significato storico del sito di Pozzeveri è tuttavia fondamentale ripercor rerne brevemente le principali vicende, così come emergono dalle fonti scritte.


fig. 1

Dati storici dalle fonti scritte

La prima menzione della località di Pozzeveri risale all’anno 952, quando Uberto, marchese di Tuscia e figlio di Ugo di Provenza, concede a Teudimondo Fraolmi «quinque casis set rebus illis massariciis in loco et finibus ubi dicitur Pozeuli»3. Questa carta documenta l’esistenza di un villaggio nella località, situata a breve distanza dalla sponda settentrionale del Lago di Sesto ed in prossimità della via Francigena, in un’area quindi ben collegata, attraverso le vie d’acqua e grazie al tracciato romeo, alla valle dell’Arno e ai principali centri urbani della Toscana settentrionale.
Nel 1039 la località è nuovamente nominata nelle carte lucchesi come un borgo che comprende due edifici ecclesiastici: la chiesa di Santo Stefano «que esse videtur in Burgo de Puctieuli», e la chiesa di San Pietro «prope suprascripto burgo de Puctieuli»4. La differenza nella localizzazione degli edifici indica due nuclei insediativi vicini ma distinti. Successivamente al 1044 il borgo di Pozzeveri e la chiesa   di Santo Stefano non saranno più nominati nelle carte arcivescovili, mentre la chiesa di San Pietro,   a partire dal 1056, diventa sede di una comunità di sacerdoti5. Si può ipotizzare che il borgo, di cui non conosciamo la precisa localizzazione, abbia subito un processo di spopolamento e di decadenza, e che sia invece sopravvissuto il polo religioso costituito dalla chiesa di San Pietro, trasformatasi istituzional mente in un’entità ecclesiastica diversa. La nuova canonica, creata seguendo i dettami della riforma della Chiesa che in quegli anni trovava nei vescovi lucchesi e nella città di Lucca particolare vigore, è la quarta ad essere istituita nella diocesi lucchese in area extraurbana dopo la canonica di Santa Maria a Monte (1025), la canonica di San Pantaleone sul Mons Heremitae (1044) e probabilmente la canonica di San Genesio6. Già nel 1086 però i documenti ci parlano di «ecclesia et monasterium beati sancti Petri apostoli qui est consctructus in loco ubi dicitur Potieule»7, ed il riconoscimento della trasformazione della canonica in monastero è sancita nel privilegio del pontefice Urbano ii del 1 febbraio 1095, con il quale è stabilito pure il diritto di libera sepoltura8. I signori di Porcari, che hanno cospicui interessi nell’area, investono nella creazione e dotazione del monastero, il quale assume le caratteristiche di un vero e proprio eigenkloster per la loro stirpe. A partire dal 1103 fa la sua comparsa un abbas come rettore del monastero, mentre fino ad allora si era sempre trattato di un rector o di un prior; è probabile che questo cambiamento di titolatura coincida con l’ingresso a Pozzeveri dei camaldolesi9. La fortuna dell’ordine camaldolese tra xi e xii secolo è veramente imponente in Toscana e in tutto il centro Italia. Frutto, come i Vallombrosani, di uno dei tanti movimenti di rinnovamento della regola benedettina, l’ordine camaldolese sposa il processo di affermazione della ‘riforma gregoriana’, annoverando al suo interno alcuni campioni del nuovo indirizzo religiosopolitico, come il riformatore Pier Damiani, e trova l’appoggio  di  molti  gruppi  aristocratici, formati
sia da famiglie che detengono importanti cariche comitali, sia dall’aristocrazia ‘minore’ delle signorie territoriali. Nello stesso anno 1103 si ha notizia di un ospedale annesso al monastero, che sottolinea il rapporto strettissimo dell’istituzione monastica con la viabilità francigena10. L’abbazia, riccamente dotata dai nobili Porcaresi, i quali già nel 1138 ricevono da Papa Innocenzo II il privilegio di avere un proprio sepolcro nel cenobio11, riceve ulteriori donazioni nel corso del xii e xiii secolo ampliando enormemente il proprio patrimonio immobiliare. Tra le attività economiche più redditizie dell’ente, insieme ai proventi delle coltivazioni di numerosi appezzamenti di terra situati nella lucchesia orientale, hanno un posto di particolare rilievo le attività molitorie condotte in cinque opifici installati sulla Pescia Minore, a cui vanno aggiunti l’allevamento del bestiame e lo sfruttamento della porzione nord orientale del padule e del lago di Sesto. Dal Libellus extimi lucane diocesis del 1260 l’abbazia di Pozzeveri viene stimata lire 2800 e si colloca, per il patrimonio, fra le istituzioni religiose più ricche della diocesi12. Nel  xiii secolo   il monastero, in accordo con le comunità locali e    i nobili di Vivinaja e Montichiari, mette a cultura, strappandole all’incolto, una grande quantità di terre corrispondenti al territorio meridionale del colle   di Vivinaia (oggi Montecarlo)13. Il xiv secolo vede l’area dell’abbazia al centro delle vicende belliche toscane che portano al danneggiamento del territorio e al progressivo degrado dell’istituzione. Nel settembre del 1325 l’abbazia è occupata, insieme ai terreni circostanti, dagli accampamenti dell’esercito fiorentino guidato da Ramondo di Cardona, ed il 22 settembre proprio tra Badia e Altopascio si svolgono le operazioni militari della battaglia che vide la vittoria di Castruccio. L’abbazia è abbandonata per alcuni decenni dalla comunità di monaci e le rendite sono limitate dalle distruzioni e dai saccheggi che causano lo spopolamento delle terre del monastero. La comunità di monaci si è ormai stabilita a Lucca, nella casa dell’Abbazia fuori porta San Gervasio. L’ul timo abate, Agostino, resse l’istituzione camaldolese dal 1388 al 1408, ma, rimasto senza monaci, appare operare come un qualsiasi abate commendatario fino alla soppressione definitiva dell’ente, che venne unito da papa Gregorio XII al capitolo della cattedrale lucchese il 3 luglio del 140814. Per tutta l’età moderna e contemporanea la chiesa di San Pietro diventa la parrocchiale dell’insediamento sparso di Pozzeveri, distribuito tra il rio Tazzera e la fossa Navareccia di Altopascio, delimitato a nord dalla via Francigena ed a sud dalle paludi del lago di Sesto. Subisce numerose modifiche, ma resta il centro religioso della comunità, compresa la funzione cimiteriale: gli spazi circostanti la chiesa sono sfruttati per le inumazioni dal medioevo fino ai nostri giorni.

La gestione dei dati e la loro divulgazione

Il cantiere di Badia Pozzeveri si è rivelato un ottimo banco di prova per l’applicazione e lo sviluppo di nuove tecnologie informatiche per la gestione del dato archeologico. Il tentativo portato avanti dall’equipe è stato quello di creare una base digitale in grado di raccogliere, analizzare e confrontare le informazioni provenienti dalle diverse attività di ricerca praticate sia in cantiere che in laboratorio. Si trattava, in sintesi, di elaborare dei protocolli di gestione integrata di elementi di diversa natura provenienti da contesti multidisciplinari. Lo spunto metodologico che sottendeva a questo tentativo è stato reso effettivo grazie ad una raccolta sistematica di ogni tipo di dato proveniente dallo scavo (unità stratigrafiche, reperti mobili, reperti osteologici, strutture, ecc.), a partire dal suo posizionamento spaziale, in modo da creare un geoarchivio globale. Ciascun record è stato poi arricchito da una base descrittiva alfanumerica e da una serie di riprese fotografiche, multimediali e fotogrammetriche. Un altro aspetto da rimarcare riguarda la natura open source o freeware dei programmi che si è scelto di utilizzare (Quantum Gis, P.Mapper, Map Server, CloudCompare, Meshlab, Blender, Python Photogrammetry Toolbox, 123dCatch, MeshMixer). L’applicazione di tali metodologie ha dato vita ad una piattaforma multidimensionale comprendente un gis bie tridimensionale che raccoglie in sé tutti i contesti archeologici, bioarcheologici e topografici, assumendo così il ruolo di ‘memoria storica’ non soltanto della diacronia del sito, ma anche delle azioni stesse che lo scavo stratigrafico ha prodotto negli anni. Al gis si è aggiunto negli ultimi anni un Webgis accessibile al pubblico da qualsiasi browser comprendente una parte dei contesti archeologici portati alla luce. I dati di scavo sono inoltre stati immessi in un pacchetto di schede all’interno di un database relazionale unitario sviluppato su web, che garantisce un rapido accesso a un numero illimitato di compilatori senza il pericolo della perdita o della ridondanza dei dati. Grande rilievo è stato inoltre dato alle ricostruzioni tridimensionali, sia a base gis/cad, che fotogrammetrica; in ciò un’attenzione particolare hanno meritato le sepolture, acquisite attraverso prese fotografiche ed inserite in ambiente geografico. Un ultimo aspetto a cui è stata dedicata particolare attenzione è la divulgazione dei dati: in tal senso il sito web della Divisione di Paelopatologia (www.paleopatologia.it) ha accolto i resoconto quotidiani di tutte le campagne di scavo, con testi (sia in italiano che in inglese), immagini, filmati, ricostru zioni, che, nella loro facilità di accesso, costituiscono una banca dati di immediata consultazione. Lo scopo di tale lavoro non è soltanto quello di incamerare la maggior quantità possibile di dati, in modo da poterli recuperare senza perdita di affidabilità e qualità, ma anche di fornire al pubblico un accesso estremamente immediato e trasparente a buona parte di ciò che viene portato in luce.

La fase premonastica

La prima attestazione scritta di un edificio religioso dedicato a San Pietro risale al 1039, ma è nel 1056 che apprendiamo della costituzione della Canonica di Pozzeveri, quando i fratelli Teuzio e Rainerio del fu Guido Bacari, unitamente ad Adaleida, moglie di Teuzio, disposero in favore di tre preti (Teuperto, Omicio e Bonizzo) impegnandoli al servizio della chiesa di San Pietro ed alla vita in comunità17. A questa fase cronologica risalgono alcune evidenze archeologiche e bioarcheologiche individuate principalmente di fronte alla facciata della chiesa attuale (aree 3000, 5000 e 6000) e nella zona orientale, intorno all’abside (area 1000), che permettono di ricomporre un primo quadro delle strutture anteriori all’edificazione del monastero camaldolese (fig. 2). A circa 2,5 m dalla facciata odierna e ad essa parallela è stata individuata una fossa di spoliazione larga 1,3 m e profonda 70-80 cm, che si estende da nord a sud per 9 m circa. Al suo interno, in corrispondenza delle estremità si sono conservati i lacerti delle fondazioni dei cantonali, composte di ciottoli, pietre spaccate e legante povero di malta. Si tratta della traccia di una primitiva facciata riferibile ad un edificio di culto del x-xi secolo, identificabile con la Ecclesia Sancti Petri attestata a partire dal 1039, demolita e in parte spoliata agli inizi del xii secolo per l’edificazione della nuova abbaziale camaldolese, che ne ha sfruttato i perimetrali, mantenendo la medesima larghezza e allungando verso ovest la navata di oltre 7 m. Altre tracce di edifici in muratura anteriori al periodo abbaziale ci vengono dalle aree 6000 e 5000: una struttura muraria con orientamento est-ovest  si colloca a occidente della chiesa. È larga almeno 60 cm ed ha il paramento nord realizzato in pietre spaccate di medie-piccole dimensioni (20-30 cm) e ciottoli di fiume legati con malta giallastra terrosa poco tenace, mentre il sacco è riempito da scaglie di pietra e piccoli ciottoli. Sulla superficie di rasatura si notano, nella metà ovest, una serie di pietre di più grandi dimensioni (40-50 cm) disposte di piatto a costituire il basamento di quella che sembra una soglia larga circa 1,6 m. Immediatamente a sud della chiesa abbaziale, e con andamento perpendicolare alla precedente, il lacerto di un’altra struttura muraria, apprezzabile per circa 8 m, larga 60-70 cm, mostra delle fondazioni in ciottoli di fiume legati con malta, mentre i due filari visibili dell’elevato sono costituiti da bozzette in calcare. È probabile che queste strutture costituissero parte degli edifici abitativi della Canonica di Pozzeveri, o comunque degli annessi dell’insediamento pre-abbaziale. Allo stesso periodo risale il pozzo ancora oggi esistente a sud del complesso. Profondo oltre 9,5 m per un diametro di circa 1,10 m, è interamente rivestito di ciotoloni disposti con andamento elicoidale ascendente e si restringe in prossimità della vera monolitica sommitale in pietra di Guamo, che resta incassata a livello del suolo, mentre la vera rettangolare che fuoriesce dal terreno è frutto di restauri moderni. Il pozzo è collocato a sud-ovest rispetto al centro del chiostro di xii secolo dell’abbazia camaldolese. Questo elemento e l’assenza di un’altra fonte di approvvigionamento idrico nell’area indagata dagli scavi archeologici suggeriscono che la struttura possa essere stata costruita prima dei lavori per l’edificazione dell’abbazia. In antico  il pozzo poteva occupare la posizione centrale di un chiostro più piccolo o di un cortile compreso negli spazi della canonica, nella stessa area comunque dove poi sarebbe sorto il chiostro camaldolese. Nel corso dell’xi secolo gli spazi funerari erano collocati ad est ed a nord-est della chiesa. Nell’area 1000 infatti sono state rinvenute le più antiche sepolture individuate nel sito. Si tratta di quindici di esse di forma ellittica, scavate per l’inumazione di individui deposti secondo il canonico orientamento ovest-est. In alcune fosse sono presenti delle pietre disposte intorno al cranio, probabilmente inserite per delimitare con l’ausilio di elementi in legno una sorta di alveolo cefalico, secondo modalità sepolcrali tipiche dei secoli centrali del medioevo. Che l’uso sepolcrale dell’area si sia prolungato nel tempo lo testimonierebbe il rinveni mento di una sepoltura tagliata dalle fondazioni del campanile, la cui porzione inferiore su base tipologica e stratigrafica è attribuibile alla seconda metà dell’xi secolo. L’immagine restituita dall’indagine archeologica per l’xi secolo è quindi quella di un complesso di edifici formato dalla chiesa ad unica navata orientata ovest-est, dal campanile situato in prossimità dell’abside della chiesa, dal cimitero posto a nord-est dell’edificio religioso, mentre immediata mente a ovest si ergevano altri edifici, probabilmente usati come casa canonicale. A sud della chiesa e a sud-est della probabile canonica era stato realizzato un pozzo, senza dubbio circondato da altri annessi funzionali alla vita dell’istituzione religiosa.


fig. 2

La fase monastica

Il xii secolo si apre con profonde trasformazioni per il sito di Pozzeveri, che da canonica diventa sede di un monastero. Al cambiamento istituzionale si accompagna una totale ridefinizione dell’impianto architettonico, che assorbe e modifica le strutture già esistenti, sfruttandole per la nuova abbazia camaldolese (fig. 3). La chiesa viene ampliata con l’abbat timento della facciata precedente e l’allungamento della navata di 7 m verso ovest. È inoltre accresciuta anche verso est e dotata di transetti, che, sporgendo di 5 m dal corpo della navata, larga 9 m, vanno a definire una pianta a croce commissa con abside di 34×19 m. Le fondazioni della nuova fabbrica sono formate da ciottoli di grosse dimensioni e bozze di calcare sommariamente spaccate disposti per corsi e filari irregolari, mentre il sacco è formato da scaglie di pietra in abbondante e tenace malta biancastra;
maggiore regolarità si nota nella fattura dei cantonali di facciata, formati da elementi litici più grandi e più regolari, che appaiono sporgere dal profilo dei perimetrali a creare il basamento di paraste angolari che dovevano incorniciare il prospetto della chiesa abbaziale. L’edificio probabilmente usato come casa canonicale nell’xi secolo è smantellato quasi completamente, mentre una nuova struttura muraria, larga 70 cm e costruita nel corso del xii secolo in appoggio al cantonale meridionale della facciata della chiesa, prosegue con andamento leggermente curvilineo in direzione nord/nord-ovest. La struttura sembra costituire un recinto per gli spazi monastici che sorgevano a sud, distinti dal sagrato della chiesa abbaziale. Contestualmente si struttura l’area cimiteriale destinata ai laici: sepolture in fossa semplice invadono tra xii e xiii secolo il sagrato e lo spazio a nord dell’abbazia – ne sono state scavate al momento 32 –, mentre quattro tombe a cassa litica sono addossate alla chiesa, due ai lati della porta d’ingresso, con orientamento nord-sud, e due a ridosso del fianco nord, con orientamento ovest-est. Un’altra sepoltura a cassa litica con orientamento ovest-est è realizzata in asse con l’ingresso di facciata della chiesa a circa tre metri da essa, ed ancora, un’ulteriore tomba della medesima tipologia si posiziona, con orientamento ovest-est, immediatamente a sud della struttura muraria curvilinea descritta precedentemente (fig. 4)18. Le tombe in cassa litica, appannaggio di gruppi sociali eminenti, sono state utilizzate più volte, probabilmente dai membri della medesima famiglia, ed hanno restituito un totale di oltre venti inumati tra individui in riduzione ed in connessione. A sud della chiesa vengono a definirsi le altre strutture del monastero, a partire dall’edificazione del chiostro costituito da un cortile quadrangolare di 14 m di lato contornato da un porticato con deambulatorio largo 3,5 m. Le strutture hanno fondazioni in ciottoli di fiume disposti in filari regolari, talvolta a spina di pesce, tenuti insieme da una malta grigia molto tenace. Il basamento su cui si impostava il colonnato è formato da una muratura a sacco larga 45 cm con i paramenti in bozzette di calcare grigio, disposte  in filari regolari e tenute insieme dalla medesima malta delle fondazioni. Le colonnine del chiostro, con diametro di 20 cm, sono in marmo di Santa
Maria del Giudice. L’indagine del corridoio ovest ha permesso di caratterizzare la sistemazione cimiteriale riservata ai monaci, che soli avevano il privilegio di essere sepolti negli spazi claustrali. La disposizione delle fosse sepolcrali seguiva un preciso disegno nello spazio delimitato dai muri del deambulatorio: paral lelamente alle strutture con orientamento nord-sud si collocavano altrettante file di inumazioni; lo spazio centrale risultante tra queste due fasce era colmato da altre sepolture perpendicolari alle precedenti e con orientamento ovest-est.


fig.3

Le sepolture presentavano forte omogeneità nella deposizione, con gli individui deposti nella fossa ellittica in decubito dorsale  e con gli arti superiori conserti sull’addome. Ogni sepoltura conservava i resti di riduzioni precedenti, e questo fatto, oltre a testimoniare l’uso intensivo degli spazi a scopo funerario, suggerisce che le inumazioni fossero visibili al momento del loro riutilizzo; si ipotizza quindi l’esistenza di segnacoli, di una precisa delimitazione della fossa o comunque della persistenza della memoria nella localizzazione dei sepolcri all’interno della comunità monastica. Tra la chiesa abbaziale e il chiostro si disponevano altri ambienti, in particolare la struttura muraria risalente all’xi secolo dell’area 5000, che già abbiamo descritto, viene sfruttata come limite di un ampio vano rettangolare, largo 6 m e lungo almeno 8 m. Al centro due conci di verrucano (0,6×0,4 m) costituivano il basamento di pilastri lignei (restano le chiazze dei pali sulla superficie dei conci) posti come sostegno del solaio od a rinforzo della travatura del tetto. Nel corso del xii secolo si ha un nuovo cambiamento: il grande vano rettangolare viene ridotto affiancando alla struttura di xi secolo un’altra struttura muraria di simile spessore per delimitare un corridoio con orientamento nord-sud, largo 0,85 m, che aveva la funzione, così come accade nelle abbazie cistercensi, di collegare la porzione anteriore della chiesa all’ala occidentale del monastero, in genere riservata ai conversi. Camaldolesi e cistercensi hanno in comune una strutturazione della gerarchia monastica che prevede una rigida suddivisione di ruoli tra monaci e conversi. Per i cistercensi la precisa distinzione degli spazi monastici tra le due categorie è ben documentata nelle architetture di numerose abbazie19; Badia Pozzeveri sembra attestare precocemente (seconda metà xii sec.) un’organizzazione simile degli spazi abbaziali anche per i camaldolesi. Tra le numerose tracce di attività di cantiere che accompagnano il xii secolo spicca una fossa realizzata per la gettata di una campana, individuata nel settore meridionale dell’area 5000. Altre strutture che delimitano ambienti di servizio del monastero sono costruiti a nord della chiesa, in parte in sovrapposizione alle sepolture di xi e xii secolo. La loro funzione, forse legata ad attività produttive, non è chiara, ma dimostra un’ulteriore trasformazione di quest’area nel corso del xiii secolo. In  conlcusione, il monastero è stato edificato a partire dagli inizi del xii secolo su strutture più antiche appartenenti alla canonica e alla chiesa di San Pietro, in parte demolite in parte assorbite dai nuovi edifici. L’attività promossa dai camaldolesi inizia con l’ampliamento della chiesa e la costruzione del chiostro, a cui subentrano nuovi interventi nella seconda metà dello stesso secolo che sembrano rimarcare una gerarchizzazione degli spazi monastici su modello cistercense. Un muro di cinta circoscrive gli spazi interni al cenobio rispetto allo spazio accessibile ai laici, che usufruivano del sagrato e dell’area a nord della chiesa per ricavare le proprie sepolture. Tra queste si distinguono alcune tombe in cassa litica addossate alla chiesa, o collocate a breve distanza da essa in posizione privilegiata (fig. 5).  Lo spazio funerario dei monaci era invece ricavato all’interno del monastero, nei corridoi del chiostro, secondo una precisa pianificazione che prevedeva ampiamente la possibilità di riutilizzare gli spazi sepolcrali con la riduzione nelle stesse fosse degli inumati precedenti.


fig.4

Il cimitero d’età moderna

In seguito alla soppressione dell’abbazia, nel 1408, le strutture del monastero vanno in rovina. Al progressivo crollo delle coperture si accompagnano i primi processi di spoliazione delle murature che si intensificano tra ’400 e ’500. Intorno alla seconda metà del xvi secolo la porzione anteriore della ex chiesa abbaziale è in stato avanzato di crollo, e la chiesa subisce un ridimensionamento. Una nuova facciata viene edificata dieci metri ad est della fronte della chiesa medievale, nella forma che possiamo apprezzare ancora oggi. A sud della chiesa gli ambienti del monastero sono un cumulo di macerie e una grossa cava di materiali costruttivi, soltanto lo spazio immediatamente a ridosso del perimetrale meridionale è occupato dagli edifici della nuova canonica parrocchiale, mentre all’abside e al transetto sud viene addossata una casa colonica e una stalla. Di fronte alla facciata della chiesa parrocchiale moderna resta quindi una sorta di recinto rettangolare di 9×10 m formato dai perimetrali, rasati a pochi metri di altezza, della chiesa camaldolese. Questo spazio recintato e a cielo aperto, corrispondente alla porzione occidentale della navata della vecchia chiesa, viene destinato a cimitero parrocchiale. Lo scavo ha messo in evidenza un centinaio di tombe che si intercettano e si sovrappongono vicendevolmente in spazi ristretti, denotando un uso intensivo soprattutto della zona orientale prospiciente la facciata della chiesa, probabilmente la più ambita. I defunti sono deposti supini (eccetto un individuo prono) all’interno di fosse singole scavate in piena terra e frequente appare l’uso del sudario e di casse lignee. L’apparizione del cranio è frontale o talvolta in norma laterale e denota forse la volontarietà di rivolgere lo sguardo del defunto verso est. Gli arti superiori sono distesi lungo il corpo, leggermente flessi sul bacino oppure flessi sul torace, talvolta con le mani giunte in atteggiamento di preghiera. La distribuzione del sesso degli individui non sembra riservare ai maschi e alle femmine aree distinte all’interno del cimitero. Sono stati rinvenuti cinque individui infantili, tutti di xviii secolo e tutti sepolti nella porzione sud-ovest del settore, nella zona più lontana dalla chiesa. Nei livelli settecenteschi si ha uno sfruttamento più razionale dello spazio, con sepolture che si dispongono con orientamento nord-sud e sud-nord lungo le fasce laterali del cimitero, mentre al centro dell’area e poi in prossimità della facciata hanno prevalentemente disposizione ovest-est. Una sepoltura femminile situata in prossimità della facciata e con orientamento ovest-est, esemplifica la tipologia della deposizione privilegiata di inizi ’700. La defunta è deposta in una cassa lignea ed è accompagnata da un corredo funerario ricco e diversificato, con oggetti di tipo devozionale (la corona del rosario, un crocifisso bronzeo e una medaglietta devozionale) e personale (bottoni in osso, ad indicare la presenza di indumenti, ed un paio di orecchini). Del tutto eccezionale ed indicativo di appartenenza ad una  classe sociale medio-alta,  è il rinvenimento, in tale contesto, di un paio di occhiali a pince-nez con la montatura in bronzo, riferibili all’inizio del xviii secolo (fig. 6). In generale il corredo, soprattutto quello di tipo devozionale, si fa più frequente nelle tombe a partire dalla seconda metà del xvii secolo mentre è più raro nei contesti più antichi. Durante la prima fase di utilizzo del cimitero, nella seconda metà del xvi secolo, l’area è stata utilizzata anche per la gettata di una campana, che intercetta una sepoltura cinquecentesca. La relazione diretta fra l’inumazione e la campana, fusa al centro del sagrato in asse con l’ingresso della chiesa, indica probabilmente una volontà precisa di collocare quest’attività in un luogo consacrato e protetto, non solo la necessità pratica di fondere la campana in prossimità della chiesa e del campanile. Un’altra serie di almeno tre campane viene fusa nella seconda metà del ’700 poco più a nord, in prossimi